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autore
brano
 
Cicerone
I doveri, II, 56
 
originale
 
[56] Itaque miror, quid in mentem venerit Theophrasto, in eo libro, quem de divitiis scripsit, in quo multa praeclare, illud absurde: est enim multus in laudanda magnificentia et apparitione popularium munerum taliumque sumptuum facultatem fructum divitiarum putat. Mihi autem ille fructus liberalitatis, cuius pauca exempla posui, multo et maior videtur et certior. Quanto Aristoteles gravius et verius nos reprehendit, qui has pecuniarum effusiones non admiremur, quae fiunt ad multitudinem deleniendam. At ii, 'qui ab hoste obsidentur, si emere aquae sextarium cogerentur mina, hoc primo incredibile nobis videri omnesque mirari, sed cum adtenderint, veniam necessitati dare, in his immanibus iacturis infinitisque sumptibus nihil nos magnopere mirari, cum praesertim neque necessitati subveniatur nec dignitas augeatur ipsaque illa delectatio multitudinis ad breve exiguumque tempus capiatur eaque a levissimo quoque, in quo tamen ipso una cum satietate memoria quoque moriatur voluptatis.'
 
traduzione
 
56. Perci? mi meraviglio di quel pensiero che ? venuto in mente a Teofrasto nel suo libro sulle ricchezze, in cui ha detto molte cose egregiamente, ma ? assurdo questo: ? largo, infatti, di lodi per la magnificenza e lo sfarzo delle feste popolari e ritiene frutto delle ricchezze la possibilit? di tali allestimenti. A me, invece, quel frutto della generosit? di cui ho fornito pochi esempi sembra molto pi? grande e sicuro. Con quale maggiore seriet? e verit? Aristotele ci mette in guardia perch? non ammiriamo questi sperperi di denaro, che non hanno altro scopo che adescare il popolo. Dice infatti che " se degli assediati dal nemico fossero costretti a comprare un quartino d'acqua al prezzo d'una mina, sulle prime questo ci sembrerebbe incredibile e tutti si meraviglierebbero, ma, ripensandoci, farebbero una concessione alla necessit?; noi, invece, non ci meravigliamo affatto di questi eccessivi sprechi e infinite spese, tanto pi? che cos? non veniamo incontro ad alcune necessit?, e non si accresce la nostra dignit?, e quel gran divertimento della moltitudine per breve ed esiguo tempo, ed ? goduto dalla gente di rango pi? basso, in cui, insieme con la saziet?, si spegne anche il ricordo del piacere ".
 

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